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Di Armando Discepolo Regia Stefano Angelucci Marino Con Vito Signorile, Tina Tempesta, Rossella Gesini, Paolo Del Peschio e Stefano Angelucci Marino MaschereBRAT Teatro Produzione Teatro Stabile d’Abruzzo in collaborazione con Teatro del Sangro e Teatro Abeliano di Bari

“Stéfano” di Armando Discepolo è considerato un classico del teatro argentino. Il suo protagonista è un musicista diplomato al Conservatorio di Napoli che arriva in Argentina, come tanti immigrati di inizio Novecento, con la speranza di “trovare l’America”. Il suo desiderio è diventare un musicista famoso, scrivere una grande opera e far piovere sterline. Niente di tutto ciò accade. Le esigenze di una difficile sopravvivenza e i propri limiti come autore fanno tacere la sua canzone. La ricerca dell’ideale, la vocazione artistica e i conflitti familiari sono alcuni dei temi che, tra il tragico e il comico, sono crudamente esposti in quest’opera punto di riferimento del grottesco criollo.

“Stéfano” è la storia di un fallimento, personale e collettivo. Il fallimento di una politica liberale, di immigrati venuti sperando di “trovare l’America”, e di famiglie che, composte da generazioni diverse, sono andate a sbattere contro la dura realtà argentina. Tutto questo in una Buenos Aires di inizio Novecento, e in un mondo in continua evoluzione.

L’arte porta alla frustrazione e all’infelicità? L’uomo è condannato a rispettare i processi produttivi imposti dalla società? È necessario evitare i sogni o realizzarli? Questi sono alcuni degli interrogativi che l’opera pone.

Otto maschere antropomorfe che permettono la trasfigurazione. Un particolare codice espressivo nato dalle suggestioni create dai murales e dai “bamboloni” della Boca, il celebre barrio porteño contraddistinto da una forte impronta italiana. Dialoghi semplici, diretti, scarni. Questi gli elementi formali scelti per raccontare una storia di italiani senza Patria.

 

TRAMA

Un immigrato italiano di nome Stéfano, musicista di professione, sogna di avere successo con la scrittura di un’opera musicale in Argentina. Stéfano convince gli anziani genitori a seguirlo in Sudamerica in questa avventura, promettendo un futuro migliore. Si sposa con Margherita, mettono al mondo tre figli. Gli anni sono passati. L’equilibrio di quel progetto si misura non solo nel cuore del protagonista ma anche in chi lo ha accompagnato e chi gli è succeduto nella vita: i suoi figli e il suo discepolo.

Da un lato, la loro prole. Radamés, il matto, che paradossalmente prende il nome dal personaggio dell’eroe dell’opera Aida, di Puccini. Lungi dallo splendere, questo ragazzone ricorda a Stefano solo l’ombra del suo fallimento. Lo stesso di Ñeca, che sembra essere l’eco delle sue lacrime nascoste, o di Esteban, che nel suo sforzo di essere poeta ricorda e imita, allo stesso tempo, l’illusione infranta di Stéfano. Pastore, suo discepolo, incarna invece la voce di chi ha la dolorosa missione di aprire gli occhi al maestro, che ha perso il posto nell’orchestra e con lui il posto come sostegno della casa e, simbolicamente, quello dei suoi desideri più profondi.